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Una diagnosi di DSA arrivata solo alle medie, la fatica, le frustrazioni, e la svolta alle superiori. “La dislessia me la sono fatta amica". Tea si è diplomata con 99 e oggi aiuta i ragazzi in difficoltà.

Alla voce “dislessia” su Wikipedia si legge: “rappresenta la disabilità di apprendimento più comune e colpisce il 3-7% della popolazione, anche se fino al 20% può presentare sintomi di un certo grado”. L’enciclopedia on line parla proprio di “disabilità”, non di disturbo, ma poco più avanti aggiunge: “Alcuni ritengono che la condizione dovrebbe essere considerata come un modo diverso di apprendimento, con vantaggi e svantaggi”. Tea, 23 anni, oggi, dopo un percorso formativo molto faticoso ma di successo, non nasconde di vedere anche i vantaggi legati al “disturbo specifico dell’apprendimento” (DSA) con il quale è cresciuta. E non perché il suo brillante 99 alla maturità sia diventato una sorta di case history, e nemmeno perchè oggi studia musica al Conservatorio. Quanto perché le difficoltà nella lettura “fanno sì – spiega – che dovendo ripetere tutto molte volte fissi tutti i concetti a lungo nella memoria, e inoltre, spesso, dovendo attingere a fonti diverse ottieni diversi punti di vista e possibilità di approfondimento”.

La diagnosi, per Tea, oggi animatrice in un centro giovani, è arrivata solo in prima media. “Mia madre, che è un’insegnante – racconta –  se ne era accorta molto prima, ma le maestre dicevano che ero troppo intelligente e sveglia per essere dislessica”. Di quei primi anni alle elementari la giovane educatrice conserva parecchi ricordi che in realtà sono dei (neanche troppo) “piccoli” traumi cognitivi ed emotivi. Da bimba, in sintesi, ha vissuto per anni una situazione simile a quella di un miope a cui “il mondo” ripete che in realtà lui ci vede benissimo e che la realtà è fuori fuoco come la vede lui. “Ero in terza o quarta elementare, ricordo bene delle parole scritte in tedesco alla lavagna. Non riuscivo a leggere, le guardavo e le riguardavo, il tempo passava, e la maestra non capiva, mentre i compagni ridacchiavano” (sulle difficoltà dei ragazzi dislessici nelle lingue, si veda il pezzo dedicato a CanaleScuola). Questo è uno dei tanti episodi capitati, è inevitabile sentirsi un po’ più tonti, visto che anche allacciarsi le scarpe per me non era così facile”, racconta.  A posteriori Tea giudica una grande fortuna che un “professore di prima media, notando che guardavo insistentemente il suo labiale ha pensato che fossi sorda, e quindi dai test hanno capito che in realtà ero dislessica”. L’unico “vantaggio” chiesto e ottenuto alle medie era il maggior tempo a disposizione per svolgere i compiti assegnati, oltre, che, ovviamente, il mancato conteggio degli errori di ortografia (non di grammatica). La dislessia, è noto, spesso si accompagna alla discalculia e alla disgrafia. “La matematica alle medie è stata un incubo, ma poi con le calcolatrici ho superato il problema, anche se scegliendo il liceo pedagogico mi sono messa al riparo, visto che erano previste poche ore di matematica e fisica. Mi piacevano materie umanistiche come la filosofia, sociologia e antropologia. In diritto, dovendo studiare a memoria, ottenevo invece buoni risultati studiando molte ore più dei miei compagni e grazie all’aiuto che avevo a casa”. Alle superiori, poi, c’è stata la svolta, che come avviene (quasi) sempre, è partita da “dentro”, da un desiderio di comprensione e di chiarezza.

“In terza liceo ho iniziato a informarmi più che potevo sul mio disturbo. Ho pensato: non è una cosa dalla quale si possa guarire, è una ‘neurodiversità’, per cui meglio conoscerla e farsela amica. Ed ha funzionato”. Ma non sempre il mondo esterno procede alla pari con i passi che si fanno a livello interiore. “C’erano compagni – ricorda – che si lamentavano del fatto che a me venisse dato più tempo o la possibilità di usare il computer. Nelle materie orali ero tra le più brave, ma è capitato che prendessi 4 di inglese. La mia vita a livello scolastico è migliorata molto quando ho iniziato ad adottare delle strategie, a studiare riducendo tutto il più possibile ad immagini, anche in diritto, e ad usare i colori. Ho letto poi molti libri e quindi ho imparato sempre nuove parole e per noi dislessici questo è importante perché le parole conosciute le leggiamo abbastanza facilmente usando l’intuizione. Pur essendo considerati vitali per i dislessici, Tea non ama i computer. “Mi sento più libera con il foglio bianco davanti. Negli ultimi due anni di superiori e alla maturità ho utilizzato il computer come dizionario elettronico  e mi sono fatta leggere il tema a voce alta.  Oppure ho usato il computer per creare le mappe concettuali, ma, in generale ho sempre cercato di scrivere il più possibile a mano e di leggere libri cartacei. Ed il consiglio che do alle famiglie e ai ragazzi è di fare il possibile per non rinunciare del tutto alla scrittura e alla lettura ‘normale’. Non si guarisce, ma imparando sempre nuove parole si riesce comunque a riconoscerle. La sintesi vocale ti aiuta a leggere un testo di scuola, ma il mondo esteriore è pieno di grafemi, e quindi saperli codificare è sempre d’aiuto, anche per leggere le insegne dei negozi camminando per strada. Il lato positivo della dislessia, poi, è che sei costretto a leggere e ripetere le cose molte volte, ma poi ti si fissano bene in mente. Un’altra cosa che aiuta molto, infine, è parlare sempre a cuore aperto delle proprie difficoltà senza vergognarsi. Auguro dal profondo a tutti i dislessici di capire il più presto possibile, nel loro percorso, che non c’è nulla di cui vergognarsi”.

Alla maturità Tea ha preso 99 ed è stata tra le migliori dell’intero istituto. “Ad un corso post diploma mi sono sentita trattare come ‘una che ha problemi’ nel momento in cui avevo chiesto di fare la collaboratrice all’integrazione. Mi hanno detto che ‘per una persona con problemi non era il caso di fare una scuola per persone con problemi’. Decisi però di non fare alcuna battaglia. Contemporaneamente, però, ho frequentato un corso per diventare animatrice musicale ed ho capito che quella era la mia strada. Ho fatto un tirocinio, ed elaborato un progetto per i bambini con Dsa che è piaciuto a tutti. L’anno dopo ho iniziato a lavorare come animatrice in un centro giovani e mi sono scoperta una persona meno timida, ed oggi ho un bel rapporto con i ragazzi. E poi, avendo vissuto certe esperienze, credo di saper aiutare bene i ragazzi che hanno delle difficoltà”.

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