LA LEZIONE SI FA ONLINE VIA CHAT
Viaggio alla scoperta delle sezioni sperimentali in cui i ragazzi arriveranno alla maturità in soli 4 anni. Basta rientri, nel pomeriggio la lezione si può seguire on line (anche al telefonino).
“Ore 16: Marco C., è in linea”. Passano tre secondi. “Si è aggiunta Nadia P”. La finestrella si riapre. “Si è aggiunto Massimo F”, e sullo schermo il bollino accanto al loro nome si colora di verde. Ore 16.10: il docente di informatica Nicola De Giorgi è pronto per compilare il registro elettronico, segnare gli alunni presenti (on line) e quelli scollegati, e quindi assenti o in ritardo. La lezione sugli algoritmi di riordinamento può cominciare.
Dopo un anno, nella classe I S (che sta per sperimentale e che ora è diventata una seconda) del percorso quadriennale dell’ITE Battisti, questo modo di procedere è diventato routine. I ragazzi, invece di fare i rientri pomeridiani, assistono a lezioni in e-learning, attraverso la piattaforma Moodle Fuss elaborata dalla Sovrintendenza. Docente e studenti, in sostanza, comunicano via chat, uno dei mezzi più familiari per i “nativi digitali”. Così familiare da essere sottoposto a un giudizio critico che ne evidenzia lati positivi e negativi, senza la minima enfasi o orgoglio per essere mediamente parecchio più up to date, al passo con i tempi, rispetto ai colleghi delle altre sezioni.
Durante una lezione di italiano i ragazzi si prestano ad un breve confronto. Il clima nell’aula è rilassato, le sedie e i banchi disposti in modo non geometrico. “Uno dei problemi della chat è che ti costringe ad essere molto veloce nelle risposte. La si può usare solo in certe materie, in italiano, ad esempio, sarebbe impossibile”, dice Elia. “Per alcune lezioni va bene, ma il rapporto umano con il docente è fondamentale. Per quanti piccoli problemi ci siano, preferisco di molto la chat rispetto a tornare a scuola nel pomeriggio”, aggiunge la ragazza dietro di lui. Secondo Gabriel è più facile capire quando l’insegnante spiega in classe, rispetto ai video registrati, perché c’è la possibilità di interagire live. Le lezioni di economia aziendale, per i ragazzi, non sono facilissime da seguire, ma una alla settimana viene comunque fatta online e in parte in tedesco, e gli studenti mostrano comunque molto interesse. Con le materie più teoriche, l’e-learning funziona meglio. Se non c’è interazione, c’è comunque l’indubbio vantaggio di poter ascoltare e riascoltare le parti difficili. “Per l’informatica funziona benissimo, soprattutto per svolgere le esercitazioni”, sostiene un ragazzo.
E per i docenti e i dirigenti che impatto ha questo nuovo modo di fare scuola? Tra i più coinvolti vi è, ovviamente, quello di informatica. Per Nicola De Giorgi, in sintesi, la novità è molto stimolante ma attualmente non sono ancora a disposizione gli strumenti necessari per non avere un pesante aggravio di lavoro. “Un’ora di lezione on line, comporta quattro o cinque ore di lavoro”, spiega. Il perché è presto detto: “Se si lavora con i testi, si ha del materiale già pronto. Se devo fare una lezione a distanza, utilizzo parecchie ore per cercare on line dei video che vadano bene. Molte volte questi video non ci sono, e allora devo autoprodurli. E anche in questo caso c’è un grande lavoro di preparazione”. Ma come cambia il ruolo del docente? “Il contatto diretto con i ragazzi – spiega – resta fondamentale, le lezioni a distanza possono essere una buona integrazione. Il rapporto diretto consente di avere una didattica personalizzata, che è una cosa molto importante”.
La dirigente dell’Ite Cristina Crepaldi ha un approccio molto laico. “La tecnologia e i cellulari – dice – fanno parte della vita dei ragazzi. I divieti assoluti non hanno senso. Ai miei tempi ci si mandava i bigliettini, oggi si mandano un sms via whatsapp. Non cambia molto”. Ciò detto, un’istituzione come la scuola, che promuove lo sviluppo dei giovani, “non può restare ferma”. Non dare il giusto ruolo alla tecnologia nella scuola sarebbe “come ostinarsi a lavare i panni nel fiume, quando da decenni si usano le lavatrici”. Perché si è battuta tanto per far sì che la sua scuola diventasse pioniera in Italia per quanto riguarda la maturità in 4 anni? “Perché ci credo, perché nel nostro piccolo puntiamo molto sull’innovazione metodologica e tecnologica, perché questo è un modo per far crescere la scuola, perché in molti Stati europei i ragazzi sono ‘maturi’ a 18 anni, perché il percorso ha un’impronta internazionale che permette ai ragazzi di interagire con il ‘mondo’ quando vanno all’estero”.
Puntiamo molto sull’innovazione metodologica e tecnologica, le nuove sezioni sono un modo per far crescere la scuola. In molti Stati europei i ragazzi sono ‘maturi’ a 18 anni.
I Paesi europei in cui la scuola termina a 18 anni sono Spagna, Francia, Regno Unito, Portogallo, Ungheria, Romania. Per quanto riguarda la Germania, il sistema educativo viene stabilito dai Länder. L’obbligo scolastico inizia a 6 anni e consiste in 9 anni di frequentazione di una scuola, in alcuni Länder anche di 10 anni. I ragazzi della sezione sperimentale frequentano 33 ore sui banchi e poi devono seguire 3 ore on line. Ma come si fa a togliere un anno senza ridurre il volume di “conoscenza”? “La didattica – spiega Crepaldi – è stata del tutto rinnovata e i programmi rimodulati. In questo percorso, invece, alcune parti sono state asciugate e riorganizzate, senza ripetizioni di argomenti. Poi si punta molto sulle attività laboratoriali e sui nuovi strumenti didattici che consentono proprio una maggiore efficacia nell’apprendimento”. L’approccio è molto pratico e, come auspicato, questo modo di lavorare si diffonde anche in altre classi. Invece di insegnare semplicemente il testo della Costituzione, l’anno scorso i ragazzi dell’indirizzo Relazioni internazionali per il marketing, sotto la guida dei docenti di diritto e informatica, hanno realizzato il sito ConosciAmo la Costituzione, “un contenitore virtuale che ha l’ambizione di fornire una visione a 360° della nostra Carta”. Nella lettera di presentazione è allegata una tessera di plastica che, avvicinata allo smartphone, grazie alla tecnologia NFC, porta direttamente al sito. Oppure, per la festa in occasione degli 80 anni della scuola, gli studenti di prima classe hanno prodotto una monetina di plastica, la BATCoin, che si può usare al posto dei soldi di metallo per i carrelli della spesa.
Il principio base delle nuove metodologie didattiche è l’insegnamento capovolto (flipped classroom). Grazie alle tecnologie digitali si fa a casa quello che di solito si fa a scuola (ascoltare una lezione, ad esempio). In classe, invece, si lavora, il più possibile in gruppo, attivamente. Si “ricerca”, si crea, attraverso il confronto e la collaborazione. Lo studente, insomma, diventa soggetto attivo. Anche la Sovrintendente Nicoletta Minnei si dice particolarmente soddisfatta dei primi risultati ottenuti mediante queste nuove metodologie didattiche. “Reputo – afferma – che nella società moderna parliamo sempre più spesso di curricolo formale e non formale e che, pertanto, l’utilizzo della tecnologia vada per forza anche in questa direzione. È infatti fondamentale cogliere gli aspetti salienti dell’accesso delle informazioni, caratterizzato a sua volta da una molteplicità di canali di varia natura. Ovviamente questo processo va gestito e governato anche dalla scuola, altrimenti il rischio è quello di non avere uno sviluppo adeguato delle relative competenze. In questo contesto bisogna fare anche un esplicito riferimento agli alunni DSA, oltre che considerare, su più larga scala, tutte le ripercussioni che possono ricadere sugli studenti”.
Le classi sperimentali sono una sorta di avamposto sia dal punto di vista della didattica, che, come si è visto, per l’uso delle tecnologie. In quest’ultimo ambito la scuola, tutta la scuola, ha un gap piuttosto grosso da colmare rispetto alla quotidianità di tutti i ragazzi (non solo). Lentamente, molto lentamente, l’uso della tecnologia si fa strada nelle classi. “In commercio esistono le smart pen, delle penne tecnologiche che, fra le altre cose, registrano la voce di chi parla in quel momento. Se rileggendo gli appunti uno studente non capisce o non è sicuro di cosa abbia detto il docente in quel momento, portando la penna sul foglio nel punto esatto, essa è in grado di riprodurre quello che è stato detto. Ci sono, ma sono comunque pochi gli studenti che usano questo mezzo, che permette anche l’archiviazione degli scritti su pc”, spiega il docente Paolo Rech. La domanda è sempre la stessa: ma con uno strumento del genere non è che i ragazzi disimparano a prendere gli appunti “perché tanto poi c’è la penna smart”? “La tecnologia è solo uno strumento, l’uso che se ne fa dipende tutto da noi”, dice Rech. Gli strumenti tecnologici, comunque, negli ultimi 15 anni hanno permesso di fare grandi passi in avanti nell’apprendimento in particolare a ragazzi con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA).
“Esistono sintesi vocali che leggono testi digitali o software che permettono di dettare al computer, software che aiutano nella lettura e nello studio, o realizzare mappe concettuali. Strumenti adeguati e didattica personalizzata hanno permesso a studenti con DSA di raggiungere risultati scolastici di eccellenza. Questo significa che sono stati fatti molti passi avanti”, afferma il professore. La sensazione, comunque, è che Rech ritenga più strategico l’uso delle nuove tecnologie a supporto della didattica, affinché questa sia sempre più universale, e cioè che possa massimizzare le opportunità di apprendimento per ciascun studente attraverso la massima flessibilità nelle metodologie, negli obiettivi, nei materiali, nella valutazione…
Secondo Christian Rispoli, per certi versi, il docente e i ragazzi con bisogni educativi speciali potrebbero indirettamente “trainare” il resto della classe. “In verità molti tutti gli strumenti usati dagli alunni con DSA, così come le metodologie efficaci nel loro processo di apprendimento, potrebbero essere utilmente usati da tutta la classe. Si pensi, ad esempio, alla metodologia attiva conosciuta come flipped classroom, le cosiddette classi rovesciate. Ogni studente potrebbe fare il lavoro passivo a casa con i tempi di cui ha bisogno e riservare la parte attiva e propositiva durante l’orario scolastico. E poi va considerato che più le classi sono eterogenee, più la didattica attiva efficace. Così, la modalità flipped consente all’insegnante di dedicarsi in classe alla fascia di livello più debole e contestualmente di valorizzare le eccellenze, assegnando compiti più complessi. Invece di creare classi con gli studenti più bravi, sarebbe più sensato farle eterogenee”.
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